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PRESENTAZIONE

Strong emotions

Stefania Severi

Il Sensazionismo, cos? come ? stato formulato da Fernando Pessoa, trova nell’artista Giuseppe Tirabasso l’oggettivazione in campo visivo. Il grande poeta e filosofo portoghese intendeva le sensazioni non solo come azione dei sensi ma come azione dell’intelletto. Infatti se la reazione prima della sensazione ? quella sensoriale, immediatamente essa avvia un processo cognitivo-speculativo che, come tale, pu? adire ai campi sia della fisica che della metafisica.

? la sensazione appena provata, innescata da un suono, da un colore, da una parola, da un ricordo, da una lettura… che fa scattare quel processo mentale che, nell’artista, diviene gesto-immagine. Un’immagine che non potr? mai essere, quindi, una registrazione del reale, ma una oggettivazione della sensazione all’origine del processo creativo.  In tale ottica ? indubbia anche la vicinanza tra il Sensazionismo di Tirabasso e il movimento Espressionista tedesco che si configurava come oggettivazione del soggettivo. Il movimento Die Br?cke, infatti, con i colori violenti, le linee taglienti, i soggetti sociali, sembra essere il riferimento pi? immediato della poetica di Tirabasso.

La sensazione ? il fil rouge di tutta l’opera dell’artista. La sensazione ? il momento propulsore originario dell’immagine che per? si definisce solo dopo che la sensazione stessa, tramite l’intelletto, si concretizza in quell’unicum costituito dalla perfetta coesione tra il medium prescelto e il contenuto enunciato.

Giuseppe Tirabasso ? un artista il cui iter si caratterizza per continuit?, pur negli immancabili periodi di pausa riflessiva, e proprio nell’analizzare il suo percorso emerge una consequenzialit? rara, attribuibile certamente ad una visione intimistica e analitica della condizione umana che, nulla concedendo alla leggerezza, si propone come riflessione sul destino, inequivocabilmente tragico, non in relazione a fatti esistenziali specifici ed eclatanti bens? nella sua stessa essenza.

Gli esordi: la sensazione come immagine figurata

L’iter artistico di Giuseppe Tirabasso ? assai precoce. Fin da ragazzino, nella natia Montappone, un piccolo paese delle Marche, manifesta la propensione per il disegno. Ci? spinge i genitori ad indirizzarlo alla celebre Scuola del Libro di Urbino. Sono i primi anni Cinquanta ed il suo destino ? segnato. Gli studi, in particolare in campo grafico, vengono poi perfezionati nella locale Accademia di Belle Arti. Sono anni che lo segnano profondamente sotto il profilo non solo della futura professione ma anche della formazione umana. L’allontanamento dalla famiglia e il disagio di una vita grama tipica di quell’immediato dopoguerra, incidono su di lui, ragazzo di grande sensibilit?, indirizzandolo ad una visione del mondo scevra di edulcoranti ed ancorata alla cruda realt?, in un atteggiamento di scavo nel profondo, senza concessioni a tregue. Gi? in epoca scolastica partecipa a premi a tema, ed ? emblematica la sua adesione ad una mostra dedicata alla Resistenza. Sono periodi difficili in cui per lui ? arduo anche procurarsi i colori e dipinge con gli inchiostri in dotazione del laboratorio di grafica della scuola.

Al termine degli studi, portati avanti non senza disagi nella consapevolezza dello sforzo che i suoi stavano facendo per consentirgli una professione di soddisfazione, giunto allo snodo decisivo per il suo futuro, sente la necessit? di cercare la sua strada fuori dal borgo natio. Compie un passo coraggioso: pur senza soldi e ancora senza lavoro si trasferisce a Milano. Deciso ad inserirsi negli ingranaggi della grande citt?, cos? diversa sia da Montappone sia da Urbino, si impegna subito per dare inizio alle prime esperienze lavorative e ai primi esordi espositivi nella certezza che la sua strada sarebbe stata quella che la sua formazione gli consentiva. Senza cedere a deroghe inizia a lavorare in campo grafico, un campo che, declinato in varie formule, lo accompagner? per tutte la vita. Infatti sar? ben presto docente di grafica presso la Scuola d’Arte del Castello Sforzesco, celebre e antica scuola del Comune di Milano, fino a diventarne il direttore, e contestualmente grafico pubblicitario-editore ed anche artista. Nel campo editoriale, in un mondo in continua ricerca, egli ? antesignano dell’uso della tecnica serigrafica, quella tecnica che di l? a poco Fiorucci porter? negli USA suscitando l’interesse di Andy Warhol che la adotter? largamente. Ma mentre negli USA l’uso artistico delle tecniche tipografiche veniva ampiamente apprezzato – ed il caso di Roy Lichtenstein lo conferma – da noi queste tecniche venivano considerate ancora un prodotto artistico inferiore.

Nel Tirabasso grafico e nel Tirabasso artista, mentre il linguaggio tecnico avr? sempre maggiori connessioni e connivenze, i contenuti divergeranno. Infatti egli affider? esclusivamente alla creazione artistica l’universo delle sue sensazioni e dei suoi stati d’animo. Non si dedicher? mai al paesaggio o alla natura morta e il suo interesse sar? appuntato costantemente sull’uomo, registrando e sublimando nell’arte le problematiche, i disagi, gli incontri che la vita, di volta in volta, gli destina. Le sue opere sono fin dagli esordi e saranno sempre il frutto di una elaborazione, in chiave estetica, delle sue sensazioni.

Quale ? il linguaggio degli esordi di Tirabasso? ? il linguaggio neo-espressionista tipico di quell’epoca, che cerca le tematiche nell’esperienza dolorosa di una guerra ancora troppo vicina per essere accantonata: l’umanit? sofferente, le vittime, gli uomini offesi ma granitici nelle loro idee. ? l’epoca – siamo nella prima met? degli anni Sessanta – in cui il boom economico si sta affacciando ma in cui ? ancora viva la memoria del passato tragico. Partecipa a premi in varie parti d’Italia (San Benedetto del Tronto, Castelletto Ticino…) e riceve la medaglia d’Argento dall’Assessorato Reginale del Turismo della Lombardia. A Palermo gli viene conferito il premio “Paladino d’oro 1964” con l’opera “Al lavoro”, emblematica della produzione di quegli anni. Si tratta di figure, uomini e donne, dai tratti fortemente segnati, vicine per sentimento e resa estetica a quelle dell’espressionista tedesco Ernst Ludwig Kirchner. ? una scelta molto precisa e controtendenza, sono infatti gli anni dell’Informale e dell’Astrazione in cui il ricorrere alla figura ? considerato elogio del passato. Ma lui si affianca a quello sparuto gruppo di artisti che vuole esprimere potentemente il disagio esistenziale e che nell’astrazione tout court, sia in chiave di dripping alla Pollock sia in chiave astratto-lirica alla Kandinskij, non trova gli strumenti adatti. La critica dell’epoca lo avvicina a Guerreschi ed a Guttuso. Ma la differenza sostanziale con questi artisti ? che per lui il dolore non ? storico, quindi individuabile in specifiche situazioni politiche, ma cosmico. In questo egli ? vicino al pi? celebre poeta suo corregionale, Giacomo Leopardi.

La sensazione: dalla figura al segno

Il linguaggio di Giuseppe Tirabasso, dopo gli esordi figurativi, evolve in forme pi? sintetiche. L’inquietudine, il disagio, l’alienazione, l’angoscia esistenziale vengono affidati all’intera figura, senza assegnare ai volti un ruolo fondamentale. Sono figure in cui i tratti fisiognomici vengono azzerati, risucchiati in un’idea di umanit? totale. Si tratta di figure apparentemente fanciullesche, come “Ragazza con colomba”, “La caduta”, “Figure a Londra”, che nella sostanziale interscambiabilit? rimandano ad un’idea di umanit? sofferente che, proprio nella sua condizione di fanciullezza indifesa, meglio esprime l’incontro-scontro con il mondo ostile ed il desiderio di sfuggire al dramma. Non a caso l’artista ha definito queste figure “folletti”, entit? che nell’immaginazione cercano di superare il disagio esistenziale.

Presenta queste opere, caratterizzate da un drammatico fondo nero, in mostre e premi ricevendo tra l’altro a Palermo il premio “Il chiodo d’Argento” (1965) in una mostra di dipinti di piccolo formato. Il critico Domenico Cara, che lo segue in questa fase, sottolinea che nella sua pittura “La condizione della cronaca quotidiana diventa tema di indagine e di morale della sua carica espressiva spontanea, in un processo di inquietudine assai acuto e preciso”. Usa l’olio e lavora a spatola, tecnica che gli consente campeggiature sintetiche e forti che evidenziano l’unicit? di disegno-colore.

Accanto a queste opere in cui la composizione occupa l’intera superficie si collocano progressivamente altre in cui lo spazio ? suddiviso, ora in modo regolare ora con tagli diagonali, cos? da creare una sorta di celle all’interno delle quali ? collocata la composizione propriamente detta. Si tratta di un unicum spaziale dove per? la presenza di questi campi che separano le scene assume la funzione di sequenza. ? un approfondimento oltre che sul concetto di spazio anche su quello di tempo col quale tanti artisti figurativi si sono cimentati, ad iniziare dal grande Giorgione. Tirabasso lo risolve con questi elementi di intervallo che a loro volta assumono essi stessi il ruolo di protagonisti in quanto esplicitano la precariet?, la frattura, l’intermittenza tipiche della condizione umana. Emerge quasi sempre, in queste composizioni, un elemento verticale, ora con effetti tridimensionali ora grafici. Questa sorta di trave, ancora incerta nella sua formulazione, ? destinata ad assumere un ruolo importante nella poetica dell’artista. “Dramma improvviso” del 1967 ? emblematica di tale produzione che abbandona l’olio per la serigrafia: ? infatti solo attraverso questo mezzo espressivo che l’artista pu? ottenere le riquadrature compositive. La serigrafia diverr? progressivamente lo strumento tecnico preferito, particolarmente esperito grazie all’attivit? editoriale, perch? indispensabile per specifiche rese espressive che il pennello non consente.

La sensazione e il medium serigrafico

Il 1967 ? un anno decisivo per Giuseppe Tirabasso che viene selezionato per il Quarto Premio Cinisello Balsamo, una manifestazione di ampio respiro in cui il giovane Tirabasso si trova accanto a Emilio Scanavino, Enrico Bay e Agostino Bonalumi. Presenta “Fase di insofferenza” una serigrafia che viene selezionata, proprio per l’originalit? del mezzo grafico prescelto, da una commissione altamente qualificata in cui spiccano i nomi di Mario De Micheli e di Franco Passoni.

Sempre nello stesso anno espone questi lavori in una personale a Milano, alla galleria La Parete e riceve un premio dal Comune di Rho.

La sua produzione ? ormai gi? molto ricca, nonostante la giovane et?, tanto che nel 1968 il Museo Civico di Lodi gli organizza una Retrospettiva in cui vengono esposte opere raggruppabili in pi? periodi, da quello in cui la figura ? ancora analiticamente definita a quello in cui la figura si presenta pi? sintetica, fino alla produzione serigrafica.

Il decennio 1967-76 ? per l’artista quello pi? ricco di esperienze espositive e di partecipazione a premi, sia in Italia che all’estero, come documenta la sua presenza al Premio Internazionale Mir? del 1975 a Barcellona.

Va sottolineato che la componente tecnica ha un ruolo fondamentale nel corpus delle sue opere. Per lui la tecnica ? la forma dell’idea, in tal senso il suo modus operandi coincide con la visione di Benedetto Croce: identit? forma-contenuto. Infatti il suo amore per la grafica lo porta a continue sperimentazioni al fine di ottenere il risultato ricercato in funzione e delle esigenze espressive del momento e delle circostanze pratiche. Anche l’insegnamento della grafica, al quale da sempre si dedica, lo spinge a sperimentazioni in particolare con la tecnica serigrafica. Realizza lui stesso i telai serigrafici e vi lavora in modo diretto, con gli inchiostri specifici, intuendo gli esiti futuri, infatti il lavoro avviene “a rovescio” e solo dopo la stampa ? possibile la visione definitiva, che ? contraria a quella del telaio. La ricerca di effetti particolari, non ottenibili con la pittura, lo spinge alla sperimentazione in progress, lavoro per lavoro, arrivando al monotipo. E la serigrafia, tecnica solitamente usata per immagini coloratissime, viene da lui messa al servizio della sua rigorosa e dolorosa ricerca, lasciando ampio spazio al nero. L’uso di uno specifico mezzo grafico atto alla comunicazione trova del resto un corrispettivo preciso nella poetica de Die Br?cke che adott? la xilografia come forma espressiva in grado di rendere la “durezza” dei contenuti unitamente alla possibilit? di moltiplicare il messaggio.

Sono serigrafie quelle che realizza per le due cartelle “Cavalli”, con 4 serigrafie ciascuna, dedicate a questo animale. ? l’unico caso in cui l’artista distoglie il suo sguardo dall’uomo, e lo fa ancora una volta sospinto dalle sue sensazioni. Un amico sta realizzando un maneggio a Tradate e lui, andando a trovarlo, incontra i cavalli, che lo colpiscono non per l’eleganza della linea, tanto cara alla pittura inglese, ma per quell’ammasso di muscoli vibranti che si percepisce al solo toccarli. Colpito da tale potenza e dal nervosismo di quei tendini guizzanti, realizza i suoi cavalli, dalla sintetica resa naturalistica, con un segno grafico altrettanto guizzante e potente. ? un raro momento di serenit? che l’animale gli trasmette, e le serigrafie sono il frutto di tali nuove sensazioni. Intanto continua ad esporre e viene ben accolto dalla D’Ars Agency, un centro di cultura artistica contemporanea tra i pi? prestigiosi non solo di Milano.

La sensazione: alla ricerca di nuovi media espressivi

Nel 1974 Giuseppe Tirabasso riceve il prestigioso invito, dagli Istituti Italiani di Cultura in Messico, ad esporre in una personale in uno spaio d’arte famoso di Citt? del Messico, la Casa del Lago, un elegante edificio centro culturale con auditorium e cinque spazi adibiti a esposizioni. Tirabasso viene invitato ad esporre nella Galeria Central. L’evento, a cui partecipa numeroso pubblico, riceve l’attenzione della critica (Virginia LLarena) e suscita una vasta eco di stampa, come documentano gli articoli pubblicati su “Excelsior”, “El Sol de Mexico”, “El Heraldo de Mexico” ed altri quotidiani e riviste. L’esperienza messicana mette in luce il ruolo fondamentale che assume la tecnica nelle sue creazioni. Nell’esigenza di portare opere – una quarantina – non fragili e facilmente trasportabili, ed allo stesso tempo originali, realizza pannelli metallici sottili sui quali lavora con l’aerografo. Con questa tecnica a spruzzo ottiene effetti particolarissimi di sfumato di grande delicatezza e piacevolezza. Il sentimento drammatico che collega tutto il suo operato, pur nelle indubbie differenze in relazione ai periodi, si fa meno tragico, come se una sensazione diffusa di dolcezza riuscisse a mitigare il dramma. L’esperienza oltreoceano ? forse per l’artista una pausa di dolce abbandono nel fluire degli eventi della vita milanese.

La sensazione come forma tattile

Dopo l’esperienza in Messico, il ritorno al quotidiano, con tutte le note di complessit? e di problematicit? che lo contraddistinguono, induce Giuseppe Tirabasso a volgersi con rinnovata energia ai suoi motivi di sempre: la riflessione sull’esistenza, come frutto della personale condizione ed in relazione alle proprie contingenti problematiche esistenziali. ? il periodo in cui prende forma definitiva l’idea della trave, gi? accennata in tante serigrafie precedenti, che diverr?, sia pure con vari distinguo, un leitmotiv della sua successiva ricerca e sua icona identificativa. L’artista vuole rendere esplicita l’impossibilit? dell’uomo di prescindere dal dramma esistenziale, nella consapevolezza della morte, summa di tutti i drammi, e della conseguente ineluttabilit? del dolore. Ancora una volta il Leopardi della Ginestra sembra echeggiare nel suo animo anche se permane in lui il sentimento della estrema solitudine, non mitigato da nessun senso di fratellanza. Ecco dunque la configurazione grafica della trave spezzata che penetra nel cervello umano provocando una sorta di esplosione. All’inizio ? quasi un fulmine, una saetta, che successivamente assume la consistenza di una trave lignea. L’uomo ha nel suo cervello una trave che esplode. Dalla risoluzione grafica a quella tridimensionale il passo ? breve. Nascono cos? le sculture in legno, composte essenzialmente di due parti: la “fredda” forma levigata di una testa di profilo, in un bianco elegante, a contrasto con la “calda” rozza e talvolta cromaticamente accesa trave che l’attraversa. Ancora una volta sono le sofferenze morali e i problemi pratici che affollano incalzanti la mente dell’artista a determinare le sensazioni del momento che si oggettivano nell’opera.

La sensazione come progetto spaziale

La seconda met? degli anni Settanta ? caratterizzata da un progressivo ritiro di Giuseppe Tirabasso artista dalla scena pubblica, ma tale distacco non coincide con l’abbandono del mondo della creazione artistica. ? un periodo di intenso lavoro nella grafica pubblicitaria e nell’editoria, un lavoro che lo porta in giro per il mondo, presente in numerosissime fiere di settore, e gli concede pochi spazi personali. Cos? egli affida le sue sensazioni e le sue considerazioni a fogli di piccolo formato, variamente raccolti, sui quali prende appunti e delinea schizzi, talvolta in condizioni non certo ottimali come le sale d’aspetto degli aeroporti.

? il periodo che l’artista definisce di Arte Concreta, e non perch? si oggettivi in oggetti bens? in ideazioni di spazi in cui l’elemento drammatico si concretizza sotto forma di trave, variamente disposta su pareti, pavimenti e soffitti, relazionata alla figura umana resa da una essenziale siluette. Fondamentale ? anche il rapporto proporzionale tra uomo e trave la cui consistenza preponderante sottrae all’uomo spazio vitale. L’uomo e la trave si pongono nello spazio in un rapporto dialettico che esplicita l’idea di dramma incombente, ineluttabile perch? la trave ? parte integrante dello spazio stesso, pertanto l’uomo ? costretto a conviverci.

La sensazione totalizzante

Il successivo sviluppo della ricerca di Giuseppe Tirabasso, diretta conseguenza dei suoi disegni di spazi condizionati da travi, ? la creazione di veri e propri oggetti spaziali. Sono opere di Arte Povera perch? ne condividono la poetica dell’oggetto trovato e riusato. Inizialmente sono i cartoni ondulati a fornire materia alla creazione, poi i legni poveri, ad esempio quelli delle cassette della frutta. Ancora una volta ? la trave spezzata protagonista della ricerca, variamente relazionata con altri oggetti o da sola, essa ? icona della lacerazione esistenziale. La simbologia del legno, materia per eccellenza abbinata alla saggezza ed alla scienza sovrumana, nello status di frattura esplicita la definitiva lacerazione della condizione umana. E se il legno ? per antonomasia il legno della croce, anche in tale ottica si fa segno di caduta senza resurrezione.

D’ultimo la ricerca di Tirabasso giunge al pi? tragico degli esiti possibili: la trave spezzata ? racchiusa entro una teca di plexiglas. Il sentimento del tragico, ineluttabile e incontrovertibile, si evidenzia nella teca che non consente interventi esterni, fermando l’oggetto per l’eternit?. La trave non pu? essere in alcun modo riparata, non c’? collante che possa ridonarle l’integrit?. Siamo obbligati a guardare la nostra condizione di travi spezzate, privati di ogni possibilit? di reintegro e di riscatto.

Il sentimento del tragico che abbiamo individuato nell’artista ancora adolescente, ? rimasto una costante nella sua visione di vita, pur nella variet? dei mezzi espressivi. Ci? non deve far pensare che egli sia un uomo solitario e solipsista. Al contrario egli ? un uomo attivo, propositivo, sempre rivolto a cogliere il nuovo, in ci? sollecitato dal suo lavoro nei campi della editoria e della grafica, in contatto costante con la committenza da un lato ed i fruitori dall’altro. Proprio l’incredibile cambiamento che questi mezzi stanno attraversando – ed egli ne ? perfettamente consapevole – lo induce alla ideazione di formule alternative, a non limitarsi alle strategie codificate ad a ricercare sempre nuove soluzioni. Ma il suo animo non ? mutato. Non lo hanno cambiato n? il luogo, n? gli eventi, n? il tempo, al quale comunque essendo vissuto sempre intensamente si ? adeguato. L’anima profonda di Tirabasso ? quella del fanciullo solo, lontano dagli affetti profondi, costretto a confrontarsi con problemi pi? grandi di lui. E se l’uomo ha affrontato i problemi e li ha superati, l’anima bambina che vive in lui – come in tutti i veri artisti – ha conservato tutta la sua capacit? di sofferenza. Certo il linguaggio ? maturato cogli anni, grazie allo studio, all’applicazione, all’esperienza, ma la scintilla prima rimane quella del vuoto tragico di cui solo l’adolescenza, il momento pi? fragile della condizione umana, ? capace.

In questi ultimi anni l’artista si ? riaffacciato al pubblico, partecipando, tra l’altro, all’Arte Fiera di Genova, ma si ? dedicato soprattutto alla promozione culturale, fondando il Centro Culturale “Spazio d’Arte Tirabasso” in due sedi, una a Padenghe, sulla riva lombarda del Lago di Garda, ed una nella natia Montappone, dove ha riattato una antica cappella sconsacrata. Ancora una volta egli ha cos? dimostrato di saper cogliere i cambiamenti che il quotidiano ci impone. Infatti tale sua azione evidenzia tre aspetti: la sostanziale crisi del sistema tradizionale delle gallerie; la concezione di una cultura diffusa sul territorio; l’importanza di recuperare le proprie radici per lasciarvi un segno distintivo. Proprio in quest’ultima ottica va valutata l’apertura del centro culturale di Montappone. ? il ritorno alle origini di un uomo maturo, carico di esperienze anche di tipo internazionale, che non rinnega le proprie radici anzi le enfatizza rinnovando l’antico legame. Egli lascia cos?, in particolare nel suo paese, un segno tangibile del suo passaggio, un segno positivo di arricchimento culturale, nella consapevolezza e nella speranza (finalmente ? possibile usare tale termine parlando di Tirabasso!) che qualsiasi segno positivo ne generi altri.

Emozioni, stati d’animo angosciosi, ansie, paure, tensioni… l’intera gamma delle sensazioni possibili si moltiplica in un animo sensibile come quello di Tirabasso, ed egli l’esprime nelle sue opere. Ma il dolore personale ? anche riflesso del dolore collettivo per cui la condizione umana del singolo diventa corale, in un mondo dove, nonostante i grandi progressi tecnologici, l’uomo non ha saputo eliminare i mali pi? profondi quali la fame, i soprusi, le ingiustizie. Il dolore di Tirabasso ? il dolore della condizione umana, non a caso ha ricevuto il premio “Dimensione Uomo”, e la sua arte, espressiva di tale dolore, colpisce, provoca, commuove, invita alla riflessione come tutta la vera arte. 

Rientrando nel circuito espositivo Tirabasso ha pubblicato una brochure dal titolo “Una corrente tematica di sensazioni artistiche” con un intervento critico di Franco Presicci che lo definisce “artista dell’angoscia”, riprendendo un termine gi? usato nel 1968 da Aldo Caserini nel titolo della recensione all’antologica nel Museo Civico di Lodi “Tirabasso: il pretesto dell’angoscia”. E tale rimando sottolinea la continuit? non solo della ricerca ma soprattutto delle sensazioni che spingono Tirabasso ad operare nel campo artistico. Sensazione, termine complesso che indica la “percezione ottenuta attraverso i sensi, che determina una modificazione fisica o psichica dell’organismo che percepisce” (Dizionario Garzanti). E la sensazione prevalente del dolore, fisico e psichico, che attanaglia l’artista ? da lui oggettivata nelle sue opere.

Giuseppe Tirabasso riflettendo sulla sua arte e definendo il suo fare artistico “Una corrente tematica di sensazioni artistiche”, in realt? non si limita a valutare la sensazione primaria ma, come Pessoa, lascia che la sensazione inneschi ricordi e riflessioni dando vita ad una vera e propria filosofia del Sensazionismo.  

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